lunedì 26 gennaio 2015

QUANTITATIVE EASING


La Banca Centrale Europea nel corso della riunione di venerdì 23 gennaio 2015, ha annunciato con grande clamore il varo di un’operazione di Quantitative Easing, ovvero di alleggerimento o allentamento quantitativo. In pratica si tratta di una massiccia operazione di emissione di nuova moneta finalizzata all’acquisto di titoli di stato o obbligazionari detenuti nel portafoglio degli Istituti Bancari europei. Le finalità dichiarate dell’operazione sono quelle di immettere nuova liquidità nelle banche alleggerendone il portafoglio titoli, in modo che queste possano emettere nuovi mutui o prestiti sul mercato del credito, e, di conseguenza si ottenga come effetto collaterale un innalzamento del tasso di inflazione al 2% circa, allontanando la pericolosissima deflazione che sta causando sempre maggiori problemi. Inizialmente l’operazione avrebbe dovuto essere di circa 500 miliardi di euro. Successivamente è stata raddoppiata a circa 1140 miliardi, con un piano d’acquisti per circa 60 miliardi al mese a partire da marzo 2015 e sino a settembre 2016. Il piano d’acquisti riguarda tutta l’unione europea, ad eccezione della Grecia e di Cipro, i cui titoli hanno un rating D (default), ovvero sono considerati spazzatura. Ovviamente l’operazione è stata seguita da un grande clamore mediatico e salutata come se fosse risolutiva dell’attuale crisi senza fine che, ormai da otto anni, attanaglia l’Europa. Come sempre in questi casi occorre fare chiarezza e riportare le cose alla loro giusta dimensione. Domenica 26 ottobre 2014, alle ore 13.15 presso la sede della Banca D’Italia a Palazzo Koch, si teneva una conferenza stampa che faceva seguito ad una analoga tenuta precedentemente presso la Sede della BCE e Francoforte. In quell’occasione, Fabio Panetta, vice direttore del nostro Istituto Centrale, comunicava i risultati dei cosiddetti stress test ai quali erano state sottoposte le banche italiane per verificarne la resistenza a fronte di situazioni estreme. Nel caso italiano in particolare, "lo scenario è molto sfavorevole perché ipotizza una grave recessione per l’intero periodo 2014-16, dopo quella già sofferta dall’economia italiana nel 2012-13, che  faceva seguito a quella del 2008-09; ipotizza inoltre un riacutizzarsi della crisi del debito sovrano. Questo ipotetico scenario utilizzato nella simulazione - sintetizza Panetta - configurerebbe quindi un collasso dell’economia italiana, con gravi conseguenze ben oltre la sfera bancaria" In particolare, dalle simulazioni, emerge l’incapacità di far fronte a situazioni anche solo “difficili” di due istituti di credito italiani: il Monte dei Paschi di Siena e la Banca Carige di Genova. E’ bene ricordare che MPS è già stato finanziato a spese dei contribuenti per ben 4 miliardi durante il controverso governo Monti. Perlomeno in prima battuta il QE appare quindi come un ulteriore salvagente lanciato agli Istituti di Credito “decotti”, che non la panacea per i mali dell’economia europea. Come da noi già sottolineato precedentemente, gli Istituti Bancari in grave crisi, a partire dal Monte dei Paschi di Siena, dovrebbero essere sottoposti alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, e non aiutati a spese dei contribuenti. I motivi per cui non si è voluto procedere alla L.C.A. così come previsto dalla legge bancaria italiana, sono puramente politici, non economici. In un sistema sano il fallimento di una banca, per quanto doloroso possa essere, equivale ad eliminare una mela marcia, salvando e tutelando tutte le altre. La strada intrapresa dal Governo Italiano, (ma anche da quello di altri paesi) è stata invece quella del salvataggio a tutti i costi. Il fallimento della Banca Privata Italiana di Michele Sindona prima, e del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi successivamente, hanno contribuito all’irrobustimento del sistema bancario italiano e hanno fatto da monito ai banchieri per un cero numero di anni. Ma oggi non è più così. Bisogna infatti prendere atto di una strenua volontà governativa, sia a livello nazionale che a livello europeo, di voler salvare le banche anche a scapito dell’economia reale. Ma non finisce qui. L’acquisto di titoli di stato e/o obbligazioni è suddiviso tra i vari Stati in ragione della loro partecipazione al capitale della BCE. Nel caso dell’Italia la quota detenuta dalla nostra Banca D’Italia è pari al 12,3108%. In pratica, dei circa 1140 miliardi di euro del QE, ne verranno spesi in Italia solo 140,34 circa, al ritmo di 7 miliardi al mese circa. Non è molto per risollevare un’economia nazionale gravata da un debito pubblico fuori controllo che ormai viaggia allegramente oltre i 2150 miliardi di euro, ma è sicuramente un grosso regalo fatto alle banche nostrane che, a causa di tutta una serie di politiche industriali e di investimenti sbagliati si trovano, per l’ennesima volta, a corto di liquidità. Possiamo anche presumere che questi soldi serviranno più per sanare i bilanci degli Istituti, che non per creare liquidità a disposizione delle imprese e dei privati in un’ottica di superamento del “Credit Crunch”. Esiste ovviamente una clausola di salvaguardia a tutela dell’investimento della BCE. La Banca Centrale Europea assume su di sé solo il 20% del rischio, il rimanente 80% resta a carico del Paese che emette i titoli. Nel caso dell’Italia il rischio maggiore è insito nel fatto che, in caso di insolvenza e/o di rating “D” del nostro debito sovrano, dovremmo cedere alla BCE sia le nostre riserve auree che quelle valutarie. Non è cosa da poco, ma come al solito, nessuno ne parla. Inoltre i titoli italiani potrebbero essere acquistati da parte della BCE, anche dal portafoglio delle banche estere, oltre che dagli istituti nostrani, aumentando ulteriormente l’entità del danno economico che l’Italia potrebbe, potenzialmente, subire. Tra le spiegazioni del QE girate in questi giorni, ha avuto un’eco minore la possibilità che l’operazione sia stata messa in campo in previsione di una possibile uscita della Grecia sia dall’area euro che dalla comunità europea. In questo caso le ripercussioni sul bilancio pubblico italiano sarebbero probabilmente insostenibili. L’Italia è creditrice nei confronti della Grecia di circa 54 miliardi di euro, grazie alla generosità dei governi Monti, Letta e Renzi. Una perdita secca e irrecuperabile di tale entità potrebbe essere il colpo di grazia per le esauste casse dello stato italiano, con conseguenze del tipo di cui parlava Fabio Panetta. Le elezioni greche consegnano il paese ad un governo comunista della sinistra estrema, che ha vinto le elezioni con un programma basato sulla fine dei sacrifici per il popolo greco. Se il nuovo governo greco non riuscirà nell’intento di una rinegoziazione del debito estero, l’uscita dall’Unione e dall’Area Euro diventerà ben più che una possibilità. A fronte di un ritorno alla dracma denso di incognite sarà naturale (e forse anche voluto e auspicato) rivolgersi alla Russia di Putin per un aiuto concreto in cambio di un’affiliazione politica e militare che, di colpo, muterebbe la geografia politica in un’area strategica del mediterraneo. L’Italia, che a differenza dalla Germania e di altri Paesi dell’Unione Europea non ha un bilancio pubblico in utile, potrebbe essere travolta da un eventuale Grexit, e trovarsi quindi alle soglie del default, se non oltre, con conseguenze imprevedibili. Ma la mossa di Draghi e della BCE, essendo stata annunciata con largo anticipo, è una delle cause dell’abbandono del cambio fisso Franco / Euro, da parte della Banca Nazionale Svizzera, unitamente alla crisi Russo – Ucraina, all’esito (ampiamente previsto) delle elezioni greche, e dalla corsa apparentemente inarrestabile del dollaro. E’ anche vero che l’attivo di bilancio della BNS era enorme per un’economia di soli 8 milioni di cittadini, raggiungendo infatti il’80% del PIL della Confederazione Elvetica. In pratica l’attivo di bilancio della BNS ha raggiunto i 500 miliardi, a fronte dei 2170 della BCE. Sostenere il cambio fisso con una moneta in picchiata su tutti i mercati sarebbe stato un suicidio. Togliere il tetto è stata quindi l’unica soluzione ragionevole da un lato per limitare le perdite, dall’altro per evitare che il QE potesse essere usato come strumento di pressione politica dell’UE nei confronti della Svizzera che è da sempre giustamente orgogliosa della propria neutralità e della propria indipendenza politica ed economica. Se gli effetti del QE saranno molto probabilmente completamente riassorbiti dalla solidissima economia elvetica, resta da vedere cosa faranno gli altri paesi. Il QE pare aver portato ad una sorta di parità nel cambio Euro / Dollaro / Franco Svizzero, anche se con un maggior valore del Dollaro USA e questo è la prima volta che accade nella storia. La Cina potrebbe decidere di abbandonare il cambio fisso con il Dollaro USA, e attuare a sua volta un QE rivolto ai titoli di stato più appetibili, sia sotto il profilo economico che sotto il profilo politico, provocando un terremoto sui mercati finanziari mondiali. Di certo è scoppiata la guerra e questo è solo l’inizio. Nei prossimi mesi ne vedremo gli esiti non soltanto sui mercati europei, ma anche e soprattutto su quelli mondiali.

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