La Banca Centrale Europea nel
corso della riunione di venerdì 23 gennaio 2015, ha annunciato con grande
clamore il varo di un’operazione di Quantitative Easing, ovvero di
alleggerimento o allentamento quantitativo. In pratica si tratta di una
massiccia operazione di emissione di nuova moneta finalizzata all’acquisto di
titoli di stato o obbligazionari detenuti nel portafoglio degli Istituti
Bancari europei. Le finalità dichiarate dell’operazione sono quelle di
immettere nuova liquidità nelle banche alleggerendone il portafoglio titoli, in
modo che queste possano emettere nuovi mutui o prestiti sul mercato del
credito, e, di conseguenza si ottenga come effetto collaterale un innalzamento
del tasso di inflazione al 2% circa, allontanando la pericolosissima deflazione
che sta causando sempre maggiori problemi. Inizialmente l’operazione avrebbe
dovuto essere di circa 500 miliardi di euro. Successivamente è stata
raddoppiata a circa 1140 miliardi, con un piano d’acquisti per circa 60
miliardi al mese a partire da marzo 2015 e sino a settembre 2016. Il piano
d’acquisti riguarda tutta l’unione europea, ad eccezione della Grecia e di
Cipro, i cui titoli hanno un rating D (default), ovvero sono considerati
spazzatura. Ovviamente l’operazione è stata seguita da un grande clamore
mediatico e salutata come se fosse risolutiva dell’attuale crisi senza fine
che, ormai da otto anni, attanaglia l’Europa. Come sempre in questi casi
occorre fare chiarezza e riportare le cose alla loro giusta dimensione.
Domenica 26 ottobre 2014, alle ore 13.15 presso la sede della Banca D’Italia a
Palazzo Koch, si teneva una conferenza stampa che faceva seguito ad una analoga
tenuta precedentemente presso la Sede della BCE e Francoforte. In
quell’occasione, Fabio Panetta, vice direttore del nostro Istituto Centrale,
comunicava i risultati dei cosiddetti stress test ai quali erano state
sottoposte le banche italiane per verificarne la resistenza a fronte di
situazioni estreme. Nel caso italiano in particolare, "lo scenario è molto
sfavorevole perché ipotizza una grave recessione per l’intero periodo 2014-16,
dopo quella già sofferta dall’economia italiana nel 2012-13, che faceva
seguito a quella del 2008-09; ipotizza inoltre un riacutizzarsi della crisi del
debito sovrano. Questo ipotetico scenario utilizzato nella simulazione -
sintetizza Panetta - configurerebbe quindi un collasso dell’economia italiana,
con gravi conseguenze ben oltre la sfera bancaria" In particolare, dalle
simulazioni, emerge l’incapacità di far fronte a situazioni anche solo “difficili”
di due istituti di credito italiani: il Monte dei Paschi di Siena e la Banca
Carige di Genova. E’ bene ricordare che MPS è già stato finanziato a spese dei
contribuenti per ben 4 miliardi durante il controverso governo Monti. Perlomeno
in prima battuta il QE appare quindi come un ulteriore salvagente lanciato agli
Istituti di Credito “decotti”, che non la panacea per i mali dell’economia
europea. Come da noi già sottolineato precedentemente, gli Istituti Bancari in
grave crisi, a partire dal Monte dei Paschi di Siena, dovrebbero essere
sottoposti alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, e non aiutati
a spese dei contribuenti. I motivi per cui non si è voluto procedere alla
L.C.A. così come previsto dalla legge bancaria italiana, sono puramente
politici, non economici. In un sistema sano il fallimento di una banca, per
quanto doloroso possa essere, equivale ad eliminare una mela marcia, salvando e
tutelando tutte le altre. La strada intrapresa dal Governo Italiano, (ma anche
da quello di altri paesi) è stata invece quella del salvataggio a tutti i
costi. Il fallimento della Banca Privata Italiana di Michele Sindona prima, e
del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi successivamente, hanno contribuito
all’irrobustimento del sistema bancario italiano e hanno fatto da monito ai
banchieri per un cero numero di anni. Ma oggi non è più così. Bisogna infatti
prendere atto di una strenua volontà governativa, sia a livello nazionale che a
livello europeo, di voler salvare le banche anche a scapito dell’economia
reale. Ma non finisce qui. L’acquisto di titoli di stato e/o obbligazioni è
suddiviso tra i vari Stati in ragione della loro partecipazione al capitale
della BCE. Nel caso dell’Italia la quota detenuta dalla nostra Banca D’Italia è
pari al 12,3108%. In pratica, dei circa 1140 miliardi di euro del QE, ne
verranno spesi in Italia solo 140,34 circa, al ritmo di 7 miliardi al mese
circa. Non è molto per risollevare un’economia nazionale gravata da un debito
pubblico fuori controllo che ormai viaggia allegramente oltre i 2150 miliardi
di euro, ma è sicuramente un grosso regalo fatto alle banche nostrane che, a
causa di tutta una serie di politiche industriali e di investimenti sbagliati
si trovano, per l’ennesima volta, a corto di liquidità. Possiamo anche
presumere che questi soldi serviranno più per sanare i bilanci degli Istituti,
che non per creare liquidità a disposizione delle imprese e dei privati in
un’ottica di superamento del “Credit Crunch”. Esiste ovviamente una clausola di
salvaguardia a tutela dell’investimento della BCE. La Banca Centrale Europea
assume su di sé solo il 20% del rischio, il rimanente 80% resta a carico del
Paese che emette i titoli. Nel caso dell’Italia il rischio maggiore è insito
nel fatto che, in caso di insolvenza e/o di rating “D” del nostro debito
sovrano, dovremmo cedere alla BCE sia le nostre riserve auree che quelle
valutarie. Non è cosa da poco, ma come al solito, nessuno ne parla. Inoltre i
titoli italiani potrebbero essere acquistati da parte della BCE, anche dal
portafoglio delle banche estere, oltre che dagli istituti nostrani, aumentando
ulteriormente l’entità del danno economico che l’Italia potrebbe,
potenzialmente, subire. Tra le spiegazioni del QE girate in questi giorni, ha
avuto un’eco minore la possibilità che l’operazione sia stata messa in campo in
previsione di una possibile uscita della Grecia sia dall’area euro che dalla
comunità europea. In questo caso le ripercussioni sul bilancio pubblico
italiano sarebbero probabilmente insostenibili. L’Italia è creditrice nei
confronti della Grecia di circa 54 miliardi di euro, grazie alla generosità dei
governi Monti, Letta e Renzi. Una perdita secca e irrecuperabile di tale entità
potrebbe essere il colpo di grazia per le esauste casse dello stato italiano, con
conseguenze del tipo di cui parlava Fabio Panetta. Le elezioni greche
consegnano il paese ad un governo comunista della sinistra estrema, che ha
vinto le elezioni con un programma basato sulla fine dei sacrifici per il
popolo greco. Se il nuovo governo greco non riuscirà nell’intento di una
rinegoziazione del debito estero, l’uscita dall’Unione e dall’Area Euro
diventerà ben più che una possibilità. A fronte di un ritorno alla dracma denso
di incognite sarà naturale (e forse anche voluto e auspicato) rivolgersi alla
Russia di Putin per un aiuto concreto in cambio di un’affiliazione politica e
militare che, di colpo, muterebbe la geografia politica in un’area strategica
del mediterraneo. L’Italia, che a differenza dalla Germania e di altri Paesi
dell’Unione Europea non ha un bilancio pubblico in utile, potrebbe essere
travolta da un eventuale Grexit, e trovarsi quindi alle soglie del default, se
non oltre, con conseguenze imprevedibili. Ma la mossa di Draghi e della BCE,
essendo stata annunciata con largo anticipo, è una delle cause dell’abbandono
del cambio fisso Franco / Euro, da parte della Banca Nazionale Svizzera,
unitamente alla crisi Russo – Ucraina, all’esito (ampiamente previsto) delle
elezioni greche, e dalla corsa apparentemente inarrestabile del dollaro. E’
anche vero che l’attivo di bilancio della BNS era enorme per un’economia di
soli 8 milioni di cittadini, raggiungendo infatti il’80% del PIL della
Confederazione Elvetica. In pratica l’attivo di bilancio della BNS ha raggiunto
i 500 miliardi, a fronte dei 2170 della BCE. Sostenere il cambio fisso con una
moneta in picchiata su tutti i mercati sarebbe stato un suicidio. Togliere il
tetto è stata quindi l’unica soluzione ragionevole da un lato per limitare le
perdite, dall’altro per evitare che il QE potesse essere usato come strumento
di pressione politica dell’UE nei confronti della Svizzera che è da sempre
giustamente orgogliosa della propria neutralità e della propria indipendenza
politica ed economica. Se gli effetti del QE saranno molto probabilmente
completamente riassorbiti dalla solidissima economia elvetica, resta da vedere
cosa faranno gli altri paesi. Il QE pare aver portato ad una sorta di parità
nel cambio Euro / Dollaro / Franco Svizzero, anche se con un maggior valore del
Dollaro USA e questo è la prima volta che accade nella storia. La Cina potrebbe
decidere di abbandonare il cambio fisso con il Dollaro USA, e attuare a sua
volta un QE rivolto ai titoli di stato più appetibili, sia sotto il profilo
economico che sotto il profilo politico, provocando un terremoto sui mercati
finanziari mondiali. Di certo è scoppiata la guerra e questo è solo l’inizio.
Nei prossimi mesi ne vedremo gli esiti non soltanto sui mercati europei, ma
anche e soprattutto su quelli mondiali.