domenica 26 ottobre 2014

LA REPUBBLICA DELL’ABBANDONO


In questo scorcio finale del 2014, il tema dominante della politica sembra essere diventato il mondo del lavoro dipendente. Recita l’Art. 1 della Costituzione della Repubblica Italiana: “L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.” E’ sicuramente un bellissimo incipit , tanto intenso e denso di significati, quanto disatteso e ignorato nella realtà quotidiana di questo nostro sciagurato Paese. Si parla di una cosa (il lavoro) che in realtà non esiste più, o meglio non è più al centro dell’economia del sistema Italia, come invece dovrebbe essere. Si parla tanto (troppo) di modifiche unilaterali all’Art. 18 ed allo Statuto dei Lavoratori, ma non si spende una sola parola per dire che di lavoro, in Italia, ce ne sempre meno. Attualmente i posti di lavoro sono assolutamente contingentati. E’ come una fortezza assediata: chi è dentro resta dentro, chi è fuori non ha nessuna possibilità di entrare. I posti di lavoro possono quindi solo diminuire e mai aumentare a fronte di condizioni economiche di assoluto sfavore, che, così come sono state concepite e poste in essere, possono solo disincentivare dall’investire in Italia. Chi può trasferisce la propria attività e la propria ricchezza all’estero, chi non può chiude per le troppe tasse e la troppa burocrazia. Viviamo in un sistema in cui le regole sono quelle del socialismo reale. Grande attenzione meramente formale verso il settore pubblico, abbandono totale di tutti gli altri e del settore privato al loro miserabile destino. Di dichiarazioni dei politici relative alla situazione dei disoccupati, dei sotto occupati, e delle categorie sfruttate sono pieni i giornali, senza però che vi sia alcuna azione di Governo in favore dei più colpiti dalla crisi economica. La stessa crisi economica non è più tale, ma è diventata crisi di sistema e si avvita su se stessa senza soluzione di continuità producendo ulteriore impoverimento e deflazione. In Italia abbiamo ben tre milioni e trecentomila dipendenti pubblici, governati da un’infinità di dirigenti e funzionari assolutamente strapagati e infinitamente più potenti e influenti dei ministri in carica. L’attuale classe politica è sempre di più composta da cialtroni, ladri e farabutti, attenti solo al proprio personale tornaconto economico e alle proprie ricche prebende. Il Parlamento non è più il luogo dei grandi ideali, ma una sorta di posto di lavoro per dipendenti dei partiti che sono strapagati per approvare senza discutere quanto deciso in sedi extra istituzionali. Nel frattempo, il Paese reale, abbandonato a se stesso, perde tutti i giorni un pezzo, declina e vacilla inesorabilmente. Si è creato uno spartiacque: di qua tutte le categorie abbandonate a vario titolo dallo Stato, di là i politici e i dirigenti dello Stato, intoccabili e inamovibili, protetti sia dalle leggi fatte ad hoc per loro stessi, sia dalla colpevole inerzia dei cittadini italiani. Tutti sappiamo quello che non và e che non funziona nella nostra quotidianità lavorativa, di studio, di vita, ma ci troviamo parimenti tutti nella totale assenza di interlocutori validi ed interessati a risolvere i problemi sul campo. Alcuni esempi concreti: andiamo a salvare vite umane in mezzo al canale di Sicilia? Poco tempo dopo potrete trovare i profughi abbandonati vagare senza meta per le nostre città e dormire nelle nostre stazioni. Vedere la stazione Centrale di Milano per credere. Le aziende chiudono e licenziano migliaia di lavoratori? Niente paura, con un po’ di cassa integrazione in deroga possiamo tranquillamente abbandonare i lavoratori al loro destino. Gli esodati? Dimenticati e abbandonati al loro destino, tant’è che ormai non se ne parla più. Gli studenti e i ricercatori? Abbandonati a se stessi, vadano pure all’estero che qui di gente istruita e competente non ce alcun bisogno, anzi, ci danno pure fastidio. Alluvione a Genova? Nessun problema: intanto premiamo i dirigenti del Comune per la loro assidua e infaticabile opera di prevenzione, poi abbandoniamo i commercianti e la popolazione al proprio destino (oggi come due anni fa). La Fiat chiude e và all’estero? Nessun problema, basta guardare al futuro con ottimismo e non fare i gufi. L’ILVA di Taranto? Commissariata e abbandonata al proprio destino. La mafia e le altre organizzazioni criminali imperversano sul territorio? Sono legittimate a farlo dalla rinuncia dello Stato a combatterle e a gestire il territorio nazionale. Abbiamo un eccesso di immigrati nelle nostre città che non si integrano ed emarginano i residenti italiani? Allo stato non interessa, sono tutti ugualmente abbandonati. Nell’impossibilità, nell’incapacità e nell’assoluta mancanza di volontà di attuare una seria ed incisiva azione di governo basata su criteri di assoluta competenza e sull’interesse nazionale, si è preferito, di fatto, abbandonare tutto e tutti al proprio destino. Venticinque milioni di lavoratori dipendenti e autonomi devono, di fatto, pagare tasse altissime per mantenere lo status quo , senza ricevere nulla in cambio e per mantenere una classe politica e dirigente di parassiti e di corrotti. Ma quello che è peggio è che anche se domani stesso si andasse a votare non cambierebbe assolutamente niente. Nonostante gli scandali, le ruberie ed infine l’abbandono, gli elettori tornerebbero a votare per i propri carnefici. Sembra che solo un crollo dello Stato ed un suo default economico sarebbero, forse, in grado di risvegliare le coscienze da un lunghissimo sonno. Oggi, nonostante tutto, si potrebbero fare ancora molte cose. Defiscalizzare e semplificare per rendere attrattivo investire in Italia, semplificare le leggi dello Stato e ridurre i gradi di giudizio, abbreviare i tempi della giustizia, rivedere e rinegoziare i trattati europei, rivedere la politica estera italiana e risvegliare l’orgoglio nazionale, valorizzare l’eccellenza dei prodotti e della manodopera italiana che nella manifattura così come nell’agro alimentare e nell’industria di qualità tecnologica non è seconda a nessuno al mondo. Si potrebbe e si dovrebbe attuare una seria politica industriale, un piano energetico nazionale, un serio piano di difesa e controspionaggio che difenda gli interessi nazionali, politiche agricole che valorizzino la produzione nazionale, politiche dell’istruzione che consentano a tutti i meritevoli l’accesso gratuito allo studio, politiche per una sanità di qualità che non bruci le proprie risorse economiche nella corruzione e nella burocrazia, un piano nazionale del trasporto pubblico. Tutte cose indispensabili. Tutte parole al vento. La Repubblica fondata sul lavoro è ormai diventata la Repubblica dell’abbandono.


domenica 11 maggio 2014

ELEZIONI AMMINISTRATIVE: LO SPECCHIO DELLA (MALA) POLITICA ITALIANA

Oggi parliamo delle prossime (il 25 maggio) elezioni amministrative che coinvolgeranno ben 4104 comuni d’Italia. Per rendere le cose più semplici prenderemo ad esempio uno di questi comuni, una ridente cittadina medio piccola, dove l’agone elettorale ha coinvolto una miriade di candidati alla carica di sindaco ed una incredibile moltitudine di candidati consiglieri comunali. Considerato che sia il sindaco, che gli assessori ed i consiglieri eletti guadagneranno cifre in verità modeste, parrebbe a prima vista trovarsi di fronte ad un lodevolissimo attacco di senso civico. Nulla di più sbagliato e fuorviante. Il sindaco uscente, universalmente noto per il carattere alquanto “ispido”, fu letteralmente defenestrato mesi or sono per motivi rimasti oscuri alla cittadinanza. Ufficialmente perse l’appoggio di parte della sua maggioranza e, una bella mattina, fu fatto cadere senza tanti complimenti da una parte dei suoi ex sostenitori e dall’opposizione. E’ stato bellissimo vedere le facce allibite dei suoi supporter nel momento in cui il mondo gli crollava addosso. La perdita dell’adorata poltrona può causare drammi interiori e familiari inimmaginabili. Ma qual’era stato il detonatore che aveva portato alla prematura caduta di un’amministrazione che, sulla carta, aveva tutte le carte in regola per durare almeno cinque anni se non oltre? La risposta si trova in un piano di opere e lavori pubblici senza precedenti per un contesto limitato come quello della cittadina di cui oggi parliamo. Decine di milioni messi in preventivo di spesa a fronte di un bilancio comunale che, pur essendo costantemente in attivo, non è certo così capiente da consentire simili spese nel corso del quinquennio di un’amministrazione locale. Un preventivo di spesa tale da scatenare i più famelici appetiti, da nord a sud, senza distinzione alcuna di fede politica e/o appartenenza partitica. A dire il vero precedentemente si era assistito ad una sorta di prologo, propedeutico alla situazione attuale. Dovendo provvedere alla ricostruzione di un’altra opera pubblica (facciamo finta che, nella fattispecie, fosse una sorta di ponte) tra tutte le soluzioni possibili era stata scelta la più inutilmente costosa, sia sotto il profilo ingegneristico che sotto il profilo tecnico. I cittadini, intenti ai loro affari e a non “disturbare” il lavoro dei solerti amministratori, si guardarono bene dal protestare per l’inutile sperpero di denaro pubblico. Al termine dei lavori di costruzione c’è chi ricorda con le lacrime agli occhi la gioia di maggioranza e opposizione al momento della spartizione dei meriti e, forse, anche di qualcos’altro. Ma in questo caso il piatto è davvero ricchissimo, sempre in relazione al modesto contesto cittadino. Certo, non saremo ai livelli miliardari dell’Expo di Milano, ma un investimento sul territorio di circa cinquanta milioni di euro, in opere pubbliche, non è certo da disprezzare. La domanda sorge spontanea: come fa un modesto comune ad investire una somma superiore al totale del proprio bilancio? Dove li prende i soldi considerato che il patto di stabilità non consente ai solerti e diligenti amministratori di accedere alle risorse derivanti dalle eccedenze di bilancio accumulatesi negli anni? Nel frattempo i partiti, impegnatissimi in un accesa campagna elettorale, di tutto parlano tranne che del piano di investimenti. Dicono tutto ed il contrario di tutto, si alleano, si studiano, si incontrano e (per finta) si scontrano, ma mai una parola sullo scoglio che fece naufragare la precedente amministrazione, nemmeno dai diretti interessati. E allora? Bisogna sapere che sul territorio comunale, ormai da qualche anno, si è acceso l’interesse di una grossa catena di supermercati che sta cercando in tutti i modi di aprire un proprio punto vendita. Dire negozio sarebbe improprio in quanto i potenziali assunti sarebbero tra le duecento e le quattrocento unità. Assunti di cui la maggioranza sarebbe a tempo indeterminato e provenienti dal comune medesimo, in un contesto lavorativo a dir poco miserabile. Per non parlare del fatto che gli assunti, con le relative famiglie, sarebbero un potenziale serbatoio di voti tale da far ingolosire gli appetiti politici più voraci. L’area per la realizzazione dell’opera che ha focalizzato l’interesse della catena di supermercati è quella attualmente occupata da un azienda che si occupa di tutt’altro. Tanto per fare un esempio immaginiamo che sia un’azienda di articoli sportivi ormai quasi totalmente de localizzata all’estero, ma la cui struttura ben si presterebbe a realizzare il centro commerciale oggetto di tanti famelici appetiti. I problemi sono fondamentalmente due: in primo luogo il regolamento commerciale non consentirebbe (attualmente) la realizzazione di un mega store sul territorio comunale. Il secondo problema è che i dipendenti attualmente impiegati nell’azienda di cui sopra ben difficilmente sarebbero riassunti dalla catena di supermercati e questo non fa chiaramente buon gioco alla campagna elettorale in corso. La catena di supermercati ha però calato tutti i suoi assi: acquisto in contanti dell’immobile di suo interesse e cinquanta milioni circa al comune per gli oneri di conversione e urbanizzazione. Più di una fonte bene informata, anche a livello sindacale, afferma che gli accordi in tal senso sono già stati sottoscritti nelle segrete stanze. Divulgarli ora, nel mezzo di un infuocata campagna elettorale, farebbe infuriare parecchia gente. Pensiamo ai piccoli commercianti che non reggerebbero la concorrenza del colosso della grande distribuzione organizzata e sarebbero costretti a chiudere. Pensiamo ai dipendenti che verrebbero liquidati (con il benestare dei sindacati) con un bel calcio nelle terga, per far posto alle nuove assunzioni. Pensiamo a partiti e liste civiche che dovrebbero giustificare la mancata trasparenza nei confronti della cittadinanza. Pensiamo alle nuove formazioni che, presentandosi solitarie per la prima volta, sono del tutto ignare della combine, e potrebbero usare queste informazioni per ribaltare in tutto o in parte il risultato elettorale. Pensiamo agli elettori che, ignari, pensano al voto in un’ottica di sano civismo e competizione a livello comunale. Pensiamo agli appaltatori amici degli amici che già si stanno golosamente spartendo i lavori e le opere da eseguire. Appare evidente che non si poteva lasciar gestire quello che chiameremo “il tortazzone” al precedente sindaco ed alla precedente amministrazione comunale. Bisognava che i maggiorenti cittadini e le loro famiglie se ne occupassero direttamente, senza deleghe e/o procure a terzi incomodi che ne avrebbero potuto reclamare oltre che il merito anche una cospicua fetta. E allora, una volta concordata la linea d’azione comune tra le finte maggioranza ed opposizione, una volta sottoscritti i protocolli d’intesa con l’investitore, via alla caduta della vecchia amministrazione e a nuove elezioni amministrative. Il bello è che tutti lo sanno sia la maggioranza, sia l’opposizione (finta) che l’ex sindaco, ma nessuno ne parla per non danneggiare il mitico tortazzone. Che sia ormai tutto deciso appare ormai evidente. Resta solo da vedere chi sarà a gestire direttamente la colossale operazione, aggiudicandosene la responsabilità ed il merito e, forse, non solo quello. Qualcuno potrebbe anche pensare ad una ricaduta economica nelle tasche dei diretti interessati, ma, si sa, la calunnia è un venticello. Quando la cittadinanza si ritroverà di fronte al fatto compiuto sarà troppo tardi per protestare o cercare di indirizzare diversamente il corso degli eventi. Del resto in campagna elettorale si parla di tutto: sport, turismo, alberghi, anziani, centro storico, disagio sociale, lavoro, e chi più ne ha più ne metta, ma neanche un accenno al mitico tortazzone. Se questa è la politica a livello locale di un piccolo comune di provincia, cosa ci si può aspettare dalla politica a livello nazionale ed europeo? Di storie come questa, migliori o peggiori, siamo certi che potremmo raccontarne una per ognuno e ciascuno dei 4104 comuni che si apprestano al voto; potrebbe essere ambientata (quasi) ovunque, il risultato non cambierebbe. Un economia basata su appalti e lavori pubblici è sempre e comunque destinata a produrre simili distorsioni sul territorio al nord come al centro e al sud. Poi, fra qualche anno, come sempre, sarà la magistratura a fare “piena luce” su fatti e vicende che, forse, non appariranno come legittimi all’esame effettuato nelle opportune sedi giudiziarie.