In
questo scorcio finale del 2014, il tema dominante della politica sembra essere
diventato il mondo del lavoro dipendente. Recita l’Art. 1 della Costituzione
della Repubblica Italiana: “L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul
lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei
limiti della Costituzione.” E’ sicuramente un bellissimo incipit , tanto
intenso e denso di significati, quanto disatteso e ignorato nella realtà
quotidiana di questo nostro sciagurato Paese. Si parla di una cosa (il lavoro)
che in realtà non esiste più, o meglio non è più al centro dell’economia del
sistema Italia, come invece dovrebbe essere. Si parla tanto (troppo) di
modifiche unilaterali all’Art. 18 ed allo Statuto dei Lavoratori, ma non si spende
una sola parola per dire che di lavoro, in Italia, ce ne sempre meno.
Attualmente i posti di lavoro sono assolutamente contingentati. E’ come una
fortezza assediata: chi è dentro resta dentro, chi è fuori non ha nessuna
possibilità di entrare. I posti di lavoro possono quindi solo diminuire e mai
aumentare a fronte di condizioni economiche di assoluto sfavore, che, così come
sono state concepite e poste in essere, possono solo disincentivare
dall’investire in Italia. Chi può trasferisce la propria attività e la propria
ricchezza all’estero, chi non può chiude per le troppe tasse e la troppa
burocrazia. Viviamo in un sistema in cui le regole sono quelle del socialismo
reale. Grande attenzione meramente formale verso il settore pubblico, abbandono
totale di tutti gli altri e del settore privato al loro miserabile destino. Di
dichiarazioni dei politici relative alla situazione dei disoccupati, dei sotto
occupati, e delle categorie sfruttate sono pieni i giornali, senza però che vi
sia alcuna azione di Governo in favore dei più colpiti dalla crisi economica.
La stessa crisi economica non è più tale, ma è diventata crisi di sistema e si
avvita su se stessa senza soluzione di continuità producendo ulteriore
impoverimento e deflazione. In Italia abbiamo ben tre milioni e trecentomila
dipendenti pubblici, governati da un’infinità di dirigenti e funzionari
assolutamente strapagati e infinitamente più potenti e influenti dei ministri
in carica. L’attuale classe politica è sempre di più composta da cialtroni,
ladri e farabutti, attenti solo al proprio personale tornaconto economico e
alle proprie ricche prebende. Il Parlamento non è più il luogo dei grandi
ideali, ma una sorta di posto di lavoro per dipendenti dei partiti che sono
strapagati per approvare senza discutere quanto deciso in sedi extra
istituzionali. Nel frattempo, il Paese reale, abbandonato a se stesso, perde
tutti i giorni un pezzo, declina e vacilla inesorabilmente. Si è creato uno
spartiacque: di qua tutte le categorie abbandonate a vario titolo dallo Stato,
di là i politici e i dirigenti dello Stato, intoccabili e inamovibili, protetti
sia dalle leggi fatte ad hoc per loro stessi, sia dalla colpevole inerzia dei
cittadini italiani. Tutti sappiamo quello che non và e che non funziona nella
nostra quotidianità lavorativa, di studio, di vita, ma ci troviamo parimenti
tutti nella totale assenza di interlocutori validi ed interessati a risolvere i
problemi sul campo. Alcuni esempi concreti: andiamo a salvare vite umane in
mezzo al canale di Sicilia? Poco tempo dopo potrete trovare i profughi
abbandonati vagare senza meta per le nostre città e dormire nelle nostre
stazioni. Vedere la stazione Centrale di Milano per credere. Le aziende
chiudono e licenziano migliaia di lavoratori? Niente paura, con un po’ di cassa
integrazione in deroga possiamo tranquillamente abbandonare i lavoratori al
loro destino. Gli esodati? Dimenticati e abbandonati al loro destino, tant’è
che ormai non se ne parla più. Gli studenti e i ricercatori? Abbandonati a se
stessi, vadano pure all’estero che qui di gente istruita e competente non ce
alcun bisogno, anzi, ci danno pure fastidio. Alluvione a Genova? Nessun
problema: intanto premiamo i dirigenti del Comune per la loro assidua e
infaticabile opera di prevenzione, poi abbandoniamo i commercianti e la
popolazione al proprio destino (oggi come due anni fa). La Fiat chiude e và
all’estero? Nessun problema, basta guardare al futuro con ottimismo e non fare
i gufi. L’ILVA di Taranto? Commissariata e abbandonata al proprio destino. La
mafia e le altre organizzazioni criminali imperversano sul territorio? Sono
legittimate a farlo dalla rinuncia dello Stato a combatterle e a gestire il
territorio nazionale. Abbiamo un eccesso di immigrati nelle nostre città che
non si integrano ed emarginano i residenti italiani? Allo stato non interessa,
sono tutti ugualmente abbandonati. Nell’impossibilità, nell’incapacità e
nell’assoluta mancanza di volontà di attuare una seria ed incisiva azione di
governo basata su criteri di assoluta competenza e sull’interesse nazionale, si
è preferito, di fatto, abbandonare tutto e tutti al proprio destino.
Venticinque milioni di lavoratori dipendenti e autonomi devono, di fatto,
pagare tasse altissime per mantenere lo status quo , senza ricevere
nulla in cambio e per mantenere una classe politica e dirigente di parassiti e
di corrotti. Ma quello che è peggio è che anche se domani stesso si andasse a
votare non cambierebbe assolutamente niente. Nonostante gli scandali, le
ruberie ed infine l’abbandono, gli elettori tornerebbero a votare per i propri
carnefici. Sembra che solo un crollo dello Stato ed un suo default
economico sarebbero, forse, in grado di risvegliare le coscienze da un
lunghissimo sonno. Oggi, nonostante tutto, si potrebbero fare ancora molte
cose. Defiscalizzare e semplificare per rendere attrattivo investire in Italia,
semplificare le leggi dello Stato e ridurre i gradi di giudizio, abbreviare i
tempi della giustizia, rivedere e rinegoziare i trattati europei, rivedere la
politica estera italiana e risvegliare l’orgoglio nazionale, valorizzare
l’eccellenza dei prodotti e della manodopera italiana che nella manifattura
così come nell’agro alimentare e nell’industria di qualità tecnologica non è
seconda a nessuno al mondo. Si potrebbe e si dovrebbe attuare una seria
politica industriale, un piano energetico nazionale, un serio piano di difesa e
controspionaggio che difenda gli interessi nazionali, politiche agricole che
valorizzino la produzione nazionale, politiche dell’istruzione che consentano a
tutti i meritevoli l’accesso gratuito allo studio, politiche per una sanità di
qualità che non bruci le proprie risorse economiche nella corruzione e nella
burocrazia, un piano nazionale del trasporto pubblico. Tutte cose
indispensabili. Tutte parole al vento. La Repubblica fondata sul lavoro è ormai
diventata la Repubblica dell’abbandono.
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domenica 26 ottobre 2014
domenica 11 maggio 2014
ELEZIONI AMMINISTRATIVE: LO SPECCHIO DELLA (MALA) POLITICA ITALIANA
Oggi parliamo delle prossime (il 25 maggio) elezioni
amministrative che coinvolgeranno ben 4104 comuni d’Italia. Per rendere le cose
più semplici prenderemo ad esempio uno di questi comuni, una ridente cittadina
medio piccola, dove l’agone elettorale ha coinvolto una miriade di candidati
alla carica di sindaco ed una incredibile moltitudine di candidati consiglieri
comunali. Considerato che sia il sindaco, che gli assessori ed i consiglieri
eletti guadagneranno cifre in verità modeste, parrebbe a prima vista trovarsi
di fronte ad un lodevolissimo attacco di senso civico. Nulla di più sbagliato e
fuorviante. Il sindaco uscente, universalmente noto per il carattere alquanto
“ispido”, fu letteralmente defenestrato mesi or sono per motivi rimasti oscuri
alla cittadinanza. Ufficialmente perse l’appoggio di parte della sua
maggioranza e, una bella mattina, fu fatto cadere senza tanti complimenti da
una parte dei suoi ex sostenitori e dall’opposizione. E’ stato bellissimo
vedere le facce allibite dei suoi supporter nel momento in cui il mondo gli
crollava addosso. La perdita dell’adorata poltrona può causare drammi interiori
e familiari inimmaginabili. Ma qual’era stato il detonatore che aveva portato
alla prematura caduta di un’amministrazione che, sulla carta, aveva tutte le
carte in regola per durare almeno cinque anni se non oltre? La risposta si
trova in un piano di opere e lavori pubblici senza precedenti per un contesto
limitato come quello della cittadina di cui oggi parliamo. Decine di milioni
messi in preventivo di spesa a fronte di un bilancio comunale che, pur essendo
costantemente in attivo, non è certo così capiente da consentire simili spese
nel corso del quinquennio di un’amministrazione locale. Un preventivo di spesa
tale da scatenare i più famelici appetiti, da nord a sud, senza distinzione
alcuna di fede politica e/o appartenenza partitica. A dire il vero
precedentemente si era assistito ad una sorta di prologo, propedeutico alla
situazione attuale. Dovendo provvedere alla ricostruzione di un’altra opera
pubblica (facciamo finta che, nella fattispecie, fosse una sorta di ponte) tra
tutte le soluzioni possibili era stata scelta la più inutilmente costosa, sia
sotto il profilo ingegneristico che sotto il profilo tecnico. I cittadini,
intenti ai loro affari e a non “disturbare” il lavoro dei solerti
amministratori, si guardarono bene dal protestare per l’inutile sperpero di
denaro pubblico. Al termine dei lavori di costruzione c’è chi ricorda con le
lacrime agli occhi la gioia di maggioranza e opposizione al momento della
spartizione dei meriti e, forse, anche di qualcos’altro. Ma in questo caso il
piatto è davvero ricchissimo, sempre in relazione al modesto contesto
cittadino. Certo, non saremo ai livelli miliardari dell’Expo di Milano, ma un
investimento sul territorio di circa cinquanta milioni di euro, in opere
pubbliche, non è certo da disprezzare. La domanda sorge spontanea: come fa un
modesto comune ad investire una somma superiore al totale del proprio bilancio?
Dove li prende i soldi considerato che il patto di stabilità non consente ai
solerti e diligenti amministratori di accedere alle risorse derivanti dalle
eccedenze di bilancio accumulatesi negli anni? Nel frattempo i partiti,
impegnatissimi in un accesa campagna elettorale, di tutto parlano tranne che
del piano di investimenti. Dicono tutto ed il contrario di tutto, si alleano,
si studiano, si incontrano e (per finta) si scontrano, ma mai una parola sullo
scoglio che fece naufragare la precedente amministrazione, nemmeno dai diretti
interessati. E allora? Bisogna sapere che sul territorio comunale, ormai da
qualche anno, si è acceso l’interesse di una grossa catena di supermercati che
sta cercando in tutti i modi di aprire un proprio punto vendita. Dire negozio
sarebbe improprio in quanto i potenziali assunti sarebbero tra le duecento e le
quattrocento unità. Assunti di cui la maggioranza sarebbe a tempo indeterminato
e provenienti dal comune medesimo, in un contesto lavorativo a dir poco
miserabile. Per non parlare del fatto che gli assunti, con le relative
famiglie, sarebbero un potenziale serbatoio di voti tale da far ingolosire gli
appetiti politici più voraci. L’area per la realizzazione dell’opera che ha
focalizzato l’interesse della catena di supermercati è quella attualmente
occupata da un azienda che si occupa di tutt’altro. Tanto per fare un esempio
immaginiamo che sia un’azienda di articoli sportivi ormai quasi totalmente de
localizzata all’estero, ma la cui struttura ben si presterebbe a realizzare il
centro commerciale oggetto di tanti famelici appetiti. I problemi sono
fondamentalmente due: in primo luogo il regolamento commerciale non
consentirebbe (attualmente) la realizzazione di un mega store sul territorio
comunale. Il secondo problema è che i dipendenti attualmente impiegati nell’azienda
di cui sopra ben difficilmente sarebbero riassunti dalla catena di supermercati
e questo non fa chiaramente buon gioco alla campagna elettorale in corso. La
catena di supermercati ha però calato tutti i suoi assi: acquisto in contanti
dell’immobile di suo interesse e cinquanta milioni circa al comune per gli
oneri di conversione e urbanizzazione. Più di una fonte bene informata, anche a
livello sindacale, afferma che gli accordi in tal senso sono già stati
sottoscritti nelle segrete stanze. Divulgarli ora, nel mezzo di un infuocata
campagna elettorale, farebbe infuriare parecchia gente. Pensiamo ai piccoli
commercianti che non reggerebbero la concorrenza del colosso della grande
distribuzione organizzata e sarebbero costretti a chiudere. Pensiamo ai
dipendenti che verrebbero liquidati (con il benestare dei sindacati) con un bel
calcio nelle terga, per far posto alle nuove assunzioni. Pensiamo a partiti e
liste civiche che dovrebbero giustificare la mancata trasparenza nei confronti
della cittadinanza. Pensiamo alle nuove formazioni che, presentandosi solitarie
per la prima volta, sono del tutto ignare della combine, e potrebbero usare
queste informazioni per ribaltare in tutto o in parte il risultato elettorale.
Pensiamo agli elettori che, ignari, pensano al voto in un’ottica di sano
civismo e competizione a livello comunale. Pensiamo agli appaltatori amici
degli amici che già si stanno golosamente spartendo i lavori e le opere da
eseguire. Appare evidente che non si poteva lasciar gestire quello che chiameremo
“il tortazzone” al precedente sindaco ed alla precedente amministrazione
comunale. Bisognava che i maggiorenti cittadini e le loro famiglie se ne
occupassero direttamente, senza deleghe e/o procure a terzi incomodi che ne
avrebbero potuto reclamare oltre che il merito anche una cospicua fetta. E
allora, una volta concordata la linea d’azione comune tra le finte maggioranza
ed opposizione, una volta sottoscritti i protocolli d’intesa con l’investitore,
via alla caduta della vecchia amministrazione e a nuove elezioni
amministrative. Il bello è che tutti lo sanno sia la maggioranza, sia
l’opposizione (finta) che l’ex sindaco, ma nessuno ne parla per non danneggiare
il mitico tortazzone. Che sia ormai tutto deciso appare ormai evidente. Resta
solo da vedere chi sarà a gestire direttamente la colossale operazione,
aggiudicandosene la responsabilità ed il merito e, forse, non solo quello.
Qualcuno potrebbe anche pensare ad una ricaduta economica nelle tasche dei
diretti interessati, ma, si sa, la calunnia è un venticello. Quando la
cittadinanza si ritroverà di fronte al fatto compiuto sarà troppo tardi per
protestare o cercare di indirizzare diversamente il corso degli eventi. Del
resto in campagna elettorale si parla di tutto: sport, turismo, alberghi, anziani,
centro storico, disagio sociale, lavoro, e chi più ne ha più ne metta, ma
neanche un accenno al mitico tortazzone. Se questa è la politica a livello
locale di un piccolo comune di provincia, cosa ci si può aspettare dalla
politica a livello nazionale ed europeo? Di storie come questa, migliori o
peggiori, siamo certi che potremmo raccontarne una per ognuno e ciascuno dei
4104 comuni che si apprestano al voto; potrebbe essere ambientata (quasi)
ovunque, il risultato non cambierebbe. Un economia basata su appalti e lavori
pubblici è sempre e comunque destinata a produrre simili distorsioni sul
territorio al nord come al centro e al sud. Poi, fra qualche anno, come sempre,
sarà la magistratura a fare “piena luce” su fatti e vicende che, forse, non
appariranno come legittimi all’esame effettuato nelle opportune sedi giudiziarie.
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